Paolo Ruffilli ci fa scoprire in queste pagine il temperamento romantico di Canova, dietro a una sensualità e a una passionalità che ben poco hanno a che fare con le ingiuste accuse di freddezza e di distacco rovesciate addosso allo scultore nel corso del tempo.
Paolo Ruffilli ci fa scoprire in queste pagine il temperamento romantico di Canova, dietro a una sensualità e a una passionalità che ben poco hanno a che fare con le ingiuste accuse di freddezza e di distacco rovesciate addosso allo scultore nel corso del tempo. Dopo il grande successo in vita infatti l’opinione dei più era andata declinando verso l’ostracismo, per effetto anche dell’involuzione che il neoclassicismo aveva preso nella copia di maniera dei modelli classici. Ma, per Canova, il neoclassicismo è solo un’occasione propizia per mantenere in equilibrio il suo temperamento passionale e per consentire, con la purezza delle linee, delle forme e dei colori, di esaltare quel fascinoso soffio vitale che anima i corpi degli uomini e, in particolare, delle donne. Corpi che riescono a palpitare nel flusso del sangue e ad animarsi del loro colorito perfino nel marmo. “Amore e Psiche”, le “Tre Grazie”, “Paolina Borghese”, “Maddalena penitente”, la “Ninfa addormentata”, la “Venere italica”: sono statue all’insegna di una grazia che attraverso il controllo della ragione trasforma gli aspetti sensuali del desiderio in una idealità capace di dare durata eterna all’acme della passione. Ambientato nella Gipsoteca di Possano, il racconto di Ruffilli, attraverso i gessi che si muovono eterei dentro le stanze, bianchi come fantasmi, bene rappresenta la capacità di Canova di suggestionare e coinvolgere con quella forza che ha saputo intrecciare i visceri alla ragione.