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Il giardino suggerisce immagini di pace, tranquillità, dove l’ansia si dovrebbe placare o almeno trovare un equilibrio. E invece i giardini di Granziero sono inquieti, percorsi da una vibrazione segreta, da una domanda che mette in tensione e talora allarma: l’enigma del confine, l’angoscia del fuori. Da Pitigliano alla Maremma, da Bolsena alle montagne, nella Treviso dei Buranelli e della Pescheria, Granziero propone una geografia precisa, territoriale. Granziero ha scelto, per esprimere il suo mondo poetico, lo stile asciutto e disseccato degli haiku, richiamati persino nella struttura tripartita di certe strofe. Un sostantivo, un aggettivo un verbo. Un’espressività che ammalia e tocca corde riposte.
“Voci di Confine” propone, nelle intenzioni dell’autore, una trama ai confini della coscienza tra il nulla, il niente, l’abisso, l’infinito, l’assenza, la vacuità e la morte come ultimo inevitabile sconosciuto inestricabile traguardo. Lo sfondo di tutto questo è il voler conoscere, la spinta interiore a voler comprendere, la ricerca che non avrà mai fine, e quindi la presa di coscienza dell’insipienza e dell’incomunicabilità di ciò che abita nelle profondità più remote segrete e impronunciabili dell’animo umano.
“Voci di Confine” propone, nelle intenzioni dell’autore, una trama ai confini della coscienza tra il nulla, il niente, l’abisso, l’infinito, l’assenza, la vacuità e la morte come ultimo inevitabile sconosciuto inestricabile traguardo. Lo sfondo di tutto questo è il voler conoscere, la spinta interiore a voler comprendere, la ricerca che non avrà mai fine, e quindi la presa di coscienza dell’insipienza e dell’incomunicabilità di ciò che abita nelle profondità più remote segrete e impronunciabili dell’animo umano.
La chiave di volta di questa intensa poesia esistenziale sono certe oscillazioni debordanti, a segnare le quali intervengono iterazioni e divaricazioni, assonanze ed accordi. Sono le intenzioni a cui corrisponde lo sforzo appunto esistenzialmente ripagato del conoscere se stessi fin dove si possa e si riesca, al di là di tutto e nonostante tutto, perché è l’unica cosa che alla fine conta nella vita. Tale percorso di autoconoscenza si traduce in una lingua intarsiata, specchio di quella condizione psicologica che continuamente si divarica nel groviglio del pensiero, che è il groviglio stesso dell’esistenza, in cui si agitano tutti i motivi e tutte le occasioni: gli affetti, l’amicizia, la morte, il tempo, la sofferenza, la storia, il mondo.
L’immagine del passato, il riconoscimento d’amore e la ricomposta testimonianza del presente.
Nella poesia di Giuliana Piovesan si intrecciano, tre livelli: l’immagine del passato, il riconoscimento d’amore e la ricomposta testimonianza del presente. E i tre livelli coesistono in un discorso di piena maturità umana ed espressiva che conosce e pratica, accanto all’esperienza della vita il gioco dell’intelligenza e i riferimenti della cultura. La chiave di lettura è il filo onirico: quel tanto di inventività fantastica, di visionarietà che interviene sempre ad animare le situazioni facendole levitare e caratterizzando in aerea leggerezza le presenze di persone e di paesaggi. I luoghi sono sognati o intravisti nella visione piuttosto che effettivamente documentabili, anche se reali. E questo vale anche per le presenze umane, rese diafane e lattiginose da uno schermo che, mentre le vela, nella loro improvvisa luminosità anche le rivela e, in particolare, per forza e suggestione la presenza di un “tu”, sottolineato con partecipazione anche nel disinganno, che attraversa tutta la raccolta.
Il discorso dell’amore copre un percorso noto e ricorrente: la dichiarazione, il disagio, la gelosia, l’incontro, l’attesa, la tenerezza, la passione, l’io-ti-amo, l’esclusiva.
Il discorso dell’amore copre un percorso noto e ricorrente: la dichiarazione, il disagio, la gelosia, l’incontro, l’attesa, la tenerezza, la passione, l’io-ti-amo, l’esclusiva. Ma, proprio perché ci si muove in un territorio usuale, la reinterpretazione del poeta si affida in misura inversamente proporzionale all’originalità della pronuncia oltre che all’incisività espressiva. È appunto il caso di questo canzoniere d’amore di Giovanni Sato dal titolo subito significativo Le metamorfosi del cuore. Con una bravura istintiva, Giovanni Sato riesce a muoversi ardito e arguto in mezzo ai mille trabocchetti dell’eterna vicenda amorosa, riconsegnandone al lettore un attraversamento personale, del tutto inedito, perfino sorprendente e, in ogni caso, inaspettato.
La poesia è il luogo della sospensione, dell’attesa per eccellenza, e quindi è il modo migliore per avvicinarsi a Dio e all’essenza delle cose, anche di quelle più minute. Saper attendere, però, non è facile, occorre apprendere, con la tenacia di uno sguardo limpido: queste poesie ci indicano una via, il lungo tirocinio di una voce che, a sua volta, ha saputo farsi attendere e che ora possiamo apprezzare in tutta la sua intensità.
L’attesa è una freccia che vola e che resta conficcata nel bersaglio: è una delle frasi più belle di Kierkegaard. Ed esprime anche la sensazione che si sperimenta leggendo le poesie di questa raccolta.
È il tempo dell’attesa a segnarne il ritmo: l’attesa della vita che sarà; dell’amore che si anima di presenze costanti e di leggerezze improvvise; dei ricordi più cari preceduti da colori e odori improvvisi; delle immagini curiose che corrono sul finestrino del treno al termine di una giornata di fatica; di un futuro capace di superare ingiustizie e sofferenze; di un bene, in definitiva, piccolo o Grande, che dovrà per forza manifestarsi, per la sola fiducia che come uomini occorre sempre e necessariamente riporvi. Come in uno spontaneo e inesauribile atto di Fede.
“Ogni essere umano …si trova inconsapevolmente di fronte ad una scelta, vivere di ciò che appare cercando di trarne il meglio oppure guardare oltre la superficie, ossia esplorare. Quest’ultima è l’opzione che ho seguito”.
Parusia è un concetto della filosofia platonica: sta ad indicare la presenza della divinità in ogni cosa materiale di cui è fatto il mondo degli uomini. Il riconoscere questa presenza con la fatica, anche con il dolore della ricerca, è il tema di questa raccolta di Gianfranco Jacobellis, capace come pochi di trasferire la dimensione filosofica in limpido pensiero della quotidianità, in una poesia che come ampiamente dimostrato già in passato è dominata da una direttrice intellettuale risolta in chiave lirica. “Cerco la trascendenza (a volte la trovo) in ogni attività umana … come una riva di salvezza”. La ricomposizione delle forze incommensurabili, l’incontro della linearità dell’eterno e della puntiformità del quotidiano, contraddistinguono queste nuove poesie di Jacobellis.
Al centro di questo libro si pone la mitologia del quotidiano, còlta nel suo paesaggio privilegiato, quello urbano, con i suoi esterni ed interni…
Al centro di questo libro si pone la mitologia del quotidiano, còlta nel suo paesaggio privilegiato, quello urbano, con i suoi esterni ed interni, case, strade, dove mostruoso rilievo acquistano i resti di quella civiltà meccanica che, accompagnandoci ormai costantemente senza mollarci attraverso computer e cellulari, mentre ci offre nuove e più larghe opportunità, ci assedia e ci svuota di ogni personalità.
“La solitudine dei metrò” ha vinto la quinta edizione del premio internazionale di letteratura “Toscana in Poesia” 2014, sezione “Volume edito di poesia”.
In questa nuova raccolta di Emanuele Giudice, insieme compimento di un’intera produzione e lascito testamentario ai suoi lettori, poesie più articolate e distese s’accompagnano ad altre brevi e icastiche come epigrammi, spesso singole immagini che valgono come tasselli interpretativi del reale.
In questa nuova raccolta di Emanuele Giudice, insieme compimento di un’intera produzione e lascito testamentario ai suoi lettori, poesie più articolate e distese s’accompagnano ad altre brevi e icastiche come epigrammi, spesso singole immagini che valgono come tasselli interpretativi del reale. Ma l’autore cerca e sonda il mistero, aspira a tenersi lontano dagli inganni dell’apparenza, capace di immaginare ciò che non finisce (“ma oltre la rete di ragno che m’invento / vedo stelle a miliardi / contendersi la notte e rimuovere / caverne e pudori”). In un’ottica che, da laica, si rivela esplicitamente religiosa, ma non devozionale, appaiono qui alcuni capisaldi di maggior respiro, come Voltiamo pagina, Tra il lamento e il grido, Come mai?, Verbo, Chi ci salverà?, Tempo di muri e siepi, perfettamente integrati nel tessuto del discorso e, nondimeno, inevitabilmente vocati ad emergerne come indicazione di percorso.
Dal confronto della realtà con i fantasmi del profondo e dalla sua esperienza di vita, comprese le delusioni, le sconfitte e le frantumazioni, Renzia D’Incà esce con la volontà di dare testimonianza delle aporie del mondo attraverso la poesia.
Dal confronto della realtà con i fantasmi del profondo e dalla sua esperienza di vita, comprese le delusioni, le sconfitte e le frantumazioni, Renzia D’Incà esce con la volontà di dare testimonianza delle aporie del mondo attraverso la poesia, in piccoli quadri incantati che si ancorano sempre a un luogo, a un’ora e a una stagione del passato remoto, scivolando via come piccoli frammenti di un insieme sbriciolato. Attraverso il riemerso dal profondo dell’inconscio, ripercorre con ansia e forza visionaria il rapporto tra il sé e il mistero della vita. Tale percorso di autoconoscenza si traduce in una lingua intarsiata, specchio di quella condizione psicologica che continuamente si divarica nel groviglio del pensiero, che è il groviglio stesso dell’esistenza, in cui si agitano tutti i motivi e tutte le occasioni: gli affetti, l’amicizia, la morte, il tempo, la sofferenza, la storia, il mondo.
Ci sono, nelle pagine di questo originale e nuovissimo canzoniere d’amore intitolato Notturno a contrasto dell’avanzare dei primi effetti del buio, l’ebbrezza della felicità dei sentimenti, il gusto della bellezza, l’avventura dell’emozione. Ci sono l’amore dell’amore, ma anche il senso della straordinaria potenza vivificante dell’amore.
Ci sono, nelle pagine di questo originale e nuovissimo canzoniere d’amore intitolato Notturno a contrasto dell’avanzare dei primi effetti del buio, l’ebbrezza della felicità dei sentimenti, il gusto della bellezza, l’avventura dell’emozione. Ci sono l’amore dell’amore, ma anche il senso della straordinaria potenza vivificante dell’amore. Ogni stimolo esterno si fa sentimento e quel sentimento “ditta dentro” la poesia che, con intensa emotività, intreccia l’amore ai problemi esistenziali proiettando tutto nel mondo esterno, dove però i sentimenti si fanno intimi e sacri come in un santuario privato.