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Storie di uomini, processi, eretici, streghe, vittime e carnefici. L’Inquisizione a Venezia, il Sant’Uffizio, le condanne, i patiboli. Giordano Bruno e Galileo, Veronese e Paolo Sarpi, dogi e papi. Ma la Serenissima non ha mai acceso un rogo per eretici o per streghe. Venezia ha rimarcato la sua autonomia anche negli anni bui dell’Inquisizione. Dal Medioevo all’Illuminismo, l’ultimo inquisitore è cancellato da Napoleone.
La romanizzazione non consistette per i Veneti in una vera e propria soggezione formale, ma fu un processo di diffusione di aspetti culturali e linguistici di matrice latino-romana. Fu caratterizzato da cambiamenti del loro stile di vita, di costumi, di gusti, ma non della loro identità, che si mantenne integra e riconoscibile per secoli anche all’interno delle strutture sociali, legislative e culturali romanizzate. Ma soltanto pochi secoli dopo l’ottenimento della civitas romana nel 49 a.C., i Veneti si trovarono in prima linea nel lungo processo storico che portò alla crisi dell’Impero e alle disastrose invasioni barbariche. Queste diedero origine alla migrazione delle popolazioni dell’entroterra verso la fascia costiera e le isole della laguna e, finalmente, alla nascita della sede Ducale di Rivo Alto. L’inizio della storia gloriosa della Serenissima.
Il volume è un’edizione riveduta e corretta dall’Autrice della sua precedente opera “Quando c’erano i Veneti” pubblicata da Biblioteca dei Leoni nel 2016.
È nel 1876 che emergono le prime tracce dell’esistenza di una civiltà che abitava il territorio veneto molto tempo prima dell’occupazione romana. Emozionante deve essere stato per gli archeologi il momento in cui, a Isola Vicentina, fu ritrovata una stele che riportava un nome, “Venetkens”: un termine che definisce per la prima volta una realtà ben precisa, un luogo preciso, cioè il Veneto, abitato dai Veneti. La loro civiltà si sviluppò a partire dal IX secolo a.C., e produsse dieci secoli di vita organizzata in un’area che va dal mantovano e bresciano al Friuli, dal Mincio fino all’Isonzo, confina a Sud con l’Emilia protovillanoviana e a Nord con il Trentino-Alto Adige.
Il volume è un’edizione riveduta e corretta dall’Autrice della sua precedente opera “Quando c’erano i Veneti” pubblicata da Biblioteca dei Leoni nel 2016.
I 150 anni trascorsi dal Plebiscito del 1866 rappresentano un’occasione per chiedersi: quanto ha contato effettivamente la volontà dei Veneti nelle vicende che portarono all’ annessione al Regno d’Italia?
I 150 anni trascorsi dal Plebiscito del 1866 rappresentano un’occasione per chiedersi: quanto ha contato effettivamente la volontà dei Veneti nelle vicende che portarono all’ annessione al Regno d’Italia? Sono stati i Veneti arbitri del proprio destino? Era possibile un Veneto autonomo? Un accurato e appassionante percorso storico, uno sguardo chiarificatore su vicende che ancora oggi non cessano di essere materia di dibattito politico.
Dopo la vittoriosa campagna napoleonica del 1797 il Veneto fu smembrato e ceduto all’Impero d’Austria, ma nel 1805 Napoleone se lo riprese e ne modificò profondamente le strutture, includendolo nel regno d’Italia governato dal Viceré Eugenio di Beauharnais.
Nel Settecento i floridi commerci di un tempo non c’erano più e, di fatto, la Serenissima si stava avviando rapidamente verso la propria fine che fu sancita dalla vittoriosa campagna napoleonica del 1797: il Veneto fu smembrato e ceduto all’Impero d’Austria, ma nel 1805 Napoleone se lo riprese e ne modificò profondamente le strutture, includendolo nel regno d’Italia governato dal Viceré Eugenio di Beauharnais. Un periodo poco studiato dagli storici, che sembrano essersi disinteressati dello studio delle condizioni regionali e locali dopo la caduta della Serenissima e prima del Trattato di Vienna: il tempo della Repubblica e l’Imperatore.
La Venezia del secondo Cinquecento e la Costantinopoli di Solimano il Magnifico fanno tuttora sognare.
L’espansione politico-militare ed economica di Venezia nel Levante si scontrò con l’espansionismo dell’Impero Turco verso occidente. Ne nacque un susseguirsi di guerre che si protrassero per secoli, inframmezzate da trattati di pace e intensi rapporti commerciali. Venezia e i Turchi uscirono da quelle guerre corrosi da gravi crisi economiche e civili, ma trovarono in questa lotta gli elementi di una munificenza straordinaria: la Venezia del secondo Cinquecento e la Costantinopoli di Solimano il Magnifico fanno tuttora sognare.
Condottieri di terra e di mare. Capitani di ventura e ammiragli che hanno fatto grande la Serenissima.
Condottieri di terra e di mare. Capitani di ventura e ammiragli che hanno fatto grande la Serenissima: quelli che ne hanno consentito l’espansione sui mari e ne hanno protetto l’espansione dei traffici commerciali; quelli che hanno difeso l’espansione della Repubblica nei territori a ovest. Protagonisti di guerre e di battaglie, molti di loro sono ricordati con monumenti nella città unica al mondo e in tombe nelle chiese veneziane. Dal Conte di Carmagnola al Gattamelata al Colleoni. Il maresciallo Schulenburg che all’inizio del Settecento fece la riforma militare e diede alla Serenissima il primo esercito regolare. Bragadin l’eroe di Famagosta che resistette ai Turchi e fu tradito, scuoiato vivo. Vittor Pisani che trionfò su Genova. Angelo Emo che voleva trasformare la marina veneziana nella Royal Navy britannica. Venier l’ammiraglio dei veneziani a Lepanto.
Luoghi imponenti e molto spesso dimenticati, i sacrari rappresentano l’epilogo di un lungo cammino in merito alla conservazione e sistemazione dei resti dei Caduti della Grande Guerra.
Il volume si occupa dei principali sacrari del fronte italiano attraverso due saggi introduttivi che ne tracciano la storia complessa, ma soprattutto si dà spazio all’immagine.
Non una guida, ma una sorta di album fotografico, accompagnato dalla descrizione dei fatti salienti avvenuti nei luoghi di cui sono divenuti il simbolo; un album fotografico che cerca di ripercorrere il tempo trascorso dalla loro inaugurazione.
Benché oggi si viaggi molto senza particolari difficoltà, questi luoghi sono rimasti per molti italiani ancora “invisibili”, non raggiunti; il libro potrà così essere un piccolo importante strumento per più “viaggi reali o immaginari” nei luoghi della Grande Guerra.
I protagonisti di questo libro sono i Veneti antichi, cioè il popolo che, a partire dall’età del Ferro e fino alla romanizzazione, ha costituito una società dai caratteri specifici e omogenei, lasciando tracce nette e riconoscibili su un territorio corrispondente grosso modo all’attuale Veneto.
Per entrare nel mondo dei Veneti antichi, dobbiamo immaginare l’ambiente in cui si muovevano: un territorio verde, ricoperto di boschi e prati, ricco di fauna e graziato da un’incredibile abbondanza di corsi d’acqua sulle cui rive sorgevano i principali centri abitati con il loro corredo di santuari e necropoli, in un sereno equilibrio tra uomo, natura, divino, vita e morte. I Veneti erano agricoltori, abili artigiani, commercianti e allevatori di cavalli famosi in tutta la penisola e, pur essendo in costante contatto con civiltà più evolute e raffinate con le quali commerciavano e scambiavano conoscenze e idee, non sembrano aver mai sentito il bisogno di lasciare segni “importanti” di sé, né di mutare, nei secoli, il proprio modus vivendi. Sarà Roma, nel II secolo a.C., a portare anche qui, i palazzi, i templi e le strade.
“Mussolini Benito, della classe 1883, richiamato alle armi il 31 agosto 1915, assegnato all’11° bersaglieri, fu mandato al fronte il 2 settembre successivo”, così comincia il diario di guerra dell’uomo che diventerà dittatore.
Quella di Mussolini fu una guerra particolare, lontana dal cuore degli scontri e terminata bruscamente per un incidente nel corso di un’esercitazione, ben dissimile sia dall’esperienza di altri diaristi sia da quanto le leggende successive vollero far credere: quando venne richiamato alle armi ed inviato sul fronte isontino, nel settembre 1915, Mussolini era ancora un socialista interventista e ben lontano dal diventare il duce del fascismo. Nella memorialistica di guerra il suo diario occupa un posto tutto particolare per il suo stile giornalistico, capace tuttavia di trasmettere una visione dell’idealismo mussoliniano di quegli anni che vedeva nella rappresentazione di un popolo unito e compatto nel difendere la patria il primo passo per la futura rivoluzione socialista. Ma costituisce anche un documento capace di evidenziare, al lettore attento di oggi, alcuni segnali della sua futura involuzione.